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Lucilla Trapazzo

La pintura de Trapazzo

Domenica pomeriggio

Nel cielo uno squarcio di azzurro

sospeso. La schiena screziata

da guizzi di sole. Di luce

sul letto sorpresa s’infrange.

Nell’aria una nota oscillante.

Veleggia. Indolente rallenta

la mente in pensiero parziale.

Una ipotesi è la materia

e spazio in cui so fluttuare.

Trattengo ancora l’istante.

Tra poco si accende la sera.

D’un tratto il tramonto

Scioglie un gesto d’arancio i legacci

del mare, d’improvviso incendiando

l’azzurro.

Lo spazio è pausa e deserto

fino a che il tempo si estende

nel senso.

Oltre il declivio, una verde

coperta.

Domenica mattina in città

Ha il passo diverso il primo mattino

d’estate. Senza le scarpe che vanno

correndo di grigio vestite

odora di festa e d’infanzia che ride

sul tram. Serrate serrande che urlano

affari e ‘must have’ strepitosi,

ha ritmi e sapori più lenti la strada

e un'altra genia, solitaria e silente

riprende possesso del tempo.

Lucertole e vecchi assaporano il sole.

Smarrito un turista si guarda d’intorno

e chiude la guida. Soltanto

si espande il suono segreto di un sax

che suona e risuona lo stesso refrain.

L’istante si adagia espanso e interrotto.

Cammino nel sole.

Fermo immagine

Scende libeccio intriso di rena

sulla città di rosso vestita.

Lontano un treno soffia un saluto.

Il tempo fermato, scomposto

dilata l’asfalto e il pensiero

strappato. Il giallo è fuggito

di là della nebbia lasciando

le cose a cercare valenza

di ontos che rotola e scorre.

Una sedia è in essenza una sedia

anche in foto su muro. Una rosa

è pur sempre una rosa se in testa

ne trattengo le fattezze. Nesso

costante è l’idea. Sinapsi formante.

Nient’altro. Alla fermata dell’autobus

un vecchio seduto fuma la pipa

e aspetta forse che scenda la sera.

O forse soltanto il suo tram.

Sehnsucht

È grazia improvvisa nell’aria.

Sottile. Mi sfugge. Sentore

leggero. Di fiori mi pare.

Di buono, di pane, di antico.

Inalo più a fondo. Ora s’apre

nel velo uno squarcio. Un richiamo

dorato. Mi tocca. Mi smuove

nel plesso solare. Un singulto.

Veleggio leggera. Compiuta.

Inalo più a fondo. Bramando

struggente. Lo voglio fermare

sentire vedere più chiaro.

Un soffio di solo un momento.

Elan passeggero. Già andato,

svanito. Già il piede che tocca

l’asfalto. Pesante.

Sul tram delle 10.40

La scorgo ogni mattina assorta

sulle crome. In cerchio divergenti

partiture. Dimentico del mondo

è il gesto del polsino.

Oggi è invece canto nuovo, oggi

è veste chiara e lieve increspatura

sulle labbra. Il tempo che la nota

risuoni sottopelle poi chiude gli occhi

al foglio per scarto di binario.

Si disfano gli anelli, gli spazi

incasellati, già sfuggono le note

dalla mano da quel foglio bianco.

Le lascia andare in volo oltre lo stridio

del tram. Più in là della cerniera

del binario. Sfarfallano in azzurro

sui monti e gli stambecchi.

Più a nord di piccoli tormenti

di minimi pensieri. Raminghe

disadorne vanno sconfinate

fino alla preghiera.

Ed io ne sono parte.

La casa delle parole perdute

C’è il senso del silenzio al centro

della stanza. Come sabbia scorrono

di mano le parole del reale

testimoni di teatro personale

e di entropia.

A volte stillano frazioni di materia

arcipelaghi di sensi, percezioni.

C’è un vuoto che rimane e ride e ride

distratti lo riempiamo con giochi

di bambini. Pennelli nella luce

sghemba della sera

scartano di lato rondini e pensieri

ghirigori in voli e traiettorie verdi.

-Senti oggi ancora il gusto dell’estate

lenta che trascorre sotto pelle?-

(Intanto nei rintocchi vespertini

il campanile si scioglieva nei sapori

nuovi). Dunque è tutto questo.

Tutto vira al seppia e tutto indora

nella terra inconquistata del ricordo.

Age! Un battito di ciglia è sufficiente

a sanare la frattura. Il seme

sarà sempre frutto in divenire

se trattieni l’opificio della mente.

La piazza fuori brulica di voci

e di rumori, la vita ancora scorre

in superficie.

Ai vecchi piangono gli occhi

Ai vecchi piangono gli occhi.

Densi fiumi di mota nei solchi

ricordi innaffiano a grappoli.

Il tempo si ferma

correndo.

Raggiunge un momento

e poi scarta di lato.

La piega del viso si stende

in sorriso, il rantolo roco diventa

vagito e il sangue canta più forte.

La mano soltanto, segnata

riporta all'istante di ombre

di sabbia che scorre in imbuto.

L'assenza.

Gli occhi piangono ai vecchi.

A testa in giù, l’amore

Canta la lingua dei monti la tremula

lucuma e la betulla dei fiumi

la specchia. Questo è luogo

di antichi segreti, di ori e di storia

dove la vita, selvaggia, avvicina alla vita.

Chiedi all’orso che porta gli occhiali

al bimbo che intreccia un cappello

e alle mele sul viso.

Chiedi al carro più in alto nel cielo.

Vedi? Ha cambiato il suo posto.

Chiedi alle api che parlano piano

alle canne del lago, alla terra che brilla

più in alto del vento, al fiume

serpente, ad acri di giallo, al sole

e all’acqua, maestri di sempre.

Questo è il tempo di metter radici

profonde e il mistero si svela

vivendo.

Sono un giardino di rose, lo penso.

Sono un giardino da arare.

Ombre

Quando di notte il bosco

di fiabe s’ammanta e di lupi

la forza dei rami si veste di nastri

e di zucchero lieve. Dormono

di notte i campanelli e le parole

al vento, dorme l’azzurro

di cielo, la scimmia sulla spalla

s’è chetata e scioglie dalla nuca

il nodo. Ritorna a piedi nudi

l’eterna sostanza del tempo

mentre tutto era avvolto di sacro.

Non è nostro questo istante.

Soltanto due ore all’aurora

al domani glassato di suoni

catacresi di ciarle di frappe

quando al ritmo di cetre

vaniloqui. Possediamo nomi

nudi ossuti laddove dalle dita

scorre sinolo di forma e di materia.

Inutile sublime.

Pietra filosofale

Alambicchi, provette, vetri soffiati

rubino e fiamme color zafferano

piegano la mente nel mare

di segni forgianti. Folle il vento

trasforma la parola e le montagne

sbriciola. Un grido rincorre

il silenzio.

Mimeomai

Pare pieno questo vuoto di parole.

Era un giorno in agguato negli spazi

sospeso tra case parole paesi.

-Siamo i mondi che pensiamo- fremeva

e s’avvolgeva il raggio tra giunchi.

Oggi il tuo silenzio e la foglia

a mezz’aria.

-Scusa sono solo me stessa.- Un io

senza tu. In moto perpetuo.

Io sono memoria. Indugiano

sul tavolo le carte da gioco.

Cimeli di nostra imperfezione

e impermanenza.

Un giro di vite trafigge il soffitto.

Perché questo azzurro sospeso

su ramo?

“Un’idea un concetto un’idea”

Muta col verbo il pensiero mutando

forme coerenti, sistemi invariabili.

Il Sole, lo spazio curvato, l’oggetto

che tocco e ciò che materia non è.

Guarda. Su prato becco vorace d’uccello

lotta con verme. Feconda la vita.

Sii lieve farfalla. Sussulta. Se sfiori

un pistillo accade anche il tempo

e invochi la fine. Il gesto

si rivela paradosso

e necessità. Poi della musica sfere.

L’orizzonte degli eventi

Non so se la parola contenga

l’infinito o se è solo un’astrazione

flatus vocis. Se siano segni o senso

gli enti del pensiero

nescio. La mente è meccanismo

angusto un gioco in mano a bimbi.

Eppure afferro della terra il nome

e delle cose, l’ape, il vento lento

le sementi, la notte che passa

che ritorna e il cielo chiaro

increspa come vela

il lago. Inonda la bellezza

nuda e all’infinito germina in re

il pensiero. Sedotti sull’azzurra perla

dentro il nulla immenso, giochiamo

a dimostrare il mondo, perduti

all’orizzonte degli eventi.

A goccia a goccia

La poesia cade nel mondo a goccia a goccia

e tutto irrora.

Puoi trovarla nel giallo dei covoni

settembrini

quando il sole indugia nei sapori

e pigra la mosca si posa

ignara dell’autunno.

Lieve si rivela nelle balze azzurre

di una vestito di chiffon

e negli occhi allo specchio di una bimba

assorta principessa.

Cammina la poesia a passo lento tra i telai

di una fabbrica di frodo

corre tra dita forestiere senza sogni

che orlano i merletti delle gonne

che indossiamo.

Si arresta poi in quei volti

a rime oblique, mandorle smarrite

in distese di campi di riso.

Non senti nell’aria l’odore di pioggia?

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Lucilla Trapazzo nació en Cassino en 1964. Graduada en Lenguas y Literatura Extranjeras Modernas (La Sapienza, Roma). Realizó estudios de máster en Cine y Video (American University, Washington DC), y ha tenido una formación continua teatral y artística. Trabaja como actriz, intérprete, crítica, directora de teatro y formadora. Sus poemas y sus historias han sido premiados y publicados repetidamente en antologías, revistas literarias y libros de arte. Sus pinturas e instalaciones han sido expuestas en exposiciones internacionales, sus actuaciones presentadas en varios festivales de arte multimedia. Actualmente vive entre Zurich y Nueva York y colabora con asociaciones de arte, música contemporánea y literatura en la organización de eventos, festivales y espectáculos. Ossidiana (Volturnia ed.) es su primer libro de poesía.

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